I primi anni fiorentini
Giovanni Mannozzi, meglio noto come Giovanni da San Giovanni, nasce nel 1592. Fin da ragazzo, in contrasto con la famiglia che lo voleva notaio e poi chierico, manifesta una naturale inclinazione per la pittura.
Il trasferimento a Firenze risale al 1608 e viene descritto dal biografo Baldinucci come una fuga. Giovanni entra subito nella bottega di Matteo Rosselli “in credito di buon pittore, e molto più d’uomo da bene, pratico e caritatevole nell’insegnar l’arte sua”. Il Baldinucci documenta inoltre un alunnato del Mannozzi presso Giulio Parigi, scenografo, prospettico e disegnatore, e descrive vivacemente la vita selvatica e stravagante del pittore sangiovannese in questi primi suoi anni fiorentini: la “smodatissima sua applicazione allo studio del disegno”, le notti trascorse in un “letticciuolo” a leggere a lume di candela quei “buoni libri storici e poetici, dei quali fu sempre amico e curioso”, il vestire trasandato come se “i panni gli fossero stati gettati addosso dalla finestra”, i detti arguti e l’umorismo grassoccio che avvicinano il Mannozzi, nella biografia del Baldinucci, al ritratto di un Annibale Carracci.
Le prime opere
Nel 1612 Giovanni non é più nella bottega del Rosselli. Un documento ne attesta, a soli venti anni, la precocissima immatricolazione nella Accademia delle Arti e del Disegno. Da questo momento ha inizio l’attività di Giovanni come pittore autonomo. Le prime opere conosciute risalgono al 1616 e rivelano un linguaggio già ben definito. Giovanni predilige, fin da subito, la tecnica dell’affresco e manifesta un vivo interesse per le opere di Bernardino Poccetti e di Ludovico Cardi: queste ultime indirizzano ben presto il giovane pittore verso lo studio di Correggio e dei grandi maestri veneti del Cinquecento. Le consonanze con la pittura dei Carracci e dei barocceschi senesi (Francesco Vanni e Ventura Salimbeni) non mancano di rinvigorire in Giovanni l’interesse verso la pittura cinquecentesca di area veneta ed emiliana. A Firenze, Giovanni poteva inoltre riflettere sulle “novità” portate dagli artisti chiamati a corte da Cosimo II, in particolare Jacques Callot e Filippo Napoletano. Il loro estroso e grottesco manierismo non rimase senza influsso sulle prime opere del Mannozzi.
La cupola di Ognissanti
Sono anni nei quali Giovanni è impegnato nella decorazione ad affresco di cappelle private, tabernacoli e facciate di ricche dimore patrizie fiorentine. Fra il 1616 e il 1619 decora la cupola della chiesa fiorentina di Ognissanti e dipinge ad affresco cinque delle lunette del chiostro della stessa chiesa completando il ciclo di affreschi del Ligozzi.
Il palazzo dell’Antella
Fra il 1619 e il 1620 Giovanni prende parte alla decorazione ad affresco della facciata del Palazzo dell’Antella in Piazza S. Croce insieme ad altri pittori: tra essi Filippo Napoletano, giunto a Firenze nel 1617. Giulio Parigi avrebbe ideato, secondo il Baldinucci, il programma iconografico della facciata. In realtà esso è da ascrivere in larga parte proprio a Giovanni. Il committente Donato dell’Antella era un influente uomo di corte nonché Senatore e Luogotenente dell’Accademia delle Arti e del Disegno. Suo fratello Francesco, ambasciatore a Malta, aveva inviato nel 1608 a Firenze il noto Amorino Dormiente del Caravaggio. Giovanni lo riprodusse fedelmente sulla facciata del palazzo: spia significativa di un nuovo interesse verso le novità sconvolgenti della pittura di Caravaggio e dei Caravaggeschi.
Il caravaggismo “imperfetto” della pittura del Mannozzi negli anni in cui il maestro fu impiegato nella decorazione ad affresco della facciata del palazzo fiorentino è ben documentato dalla tela sangiovannese con Decollazione del Battista, firmata e datata 1620.
Il soggiorno romano
L’anno successivo Giovanni parte per Roma. Il soggiorno, in compagnia del fiorentino Francesco Furini, si prolungherà fino al 1627. Nella città papale Giovanni conobbe “gli stenti e le miserie”. Sono, comunque, anni di attività intensa e di studio proficuo della pittura caravaggesca. Giovanni è affascinato, in modo particolare, dalla pittura del Guercino che interpreta, con una sensibilità tutta emiliana, la pittura del Caravaggio. Il pittore sangiovannese intrattiene fecondi rapporti con committenti colti e raffinati, fra essi gli emiliani Bentivoglio.
Nel 1628 Giovanni interrompe il soggiorno romano e si reca in Emilia a dipingere scene celebrative della famiglia Bentivoglio nel feudo di Gualtieri presso Reggio Emilia.
Di nuovo a Firenze
L’anno seguente é di nuovo a Firenze. Fra il 1634 e il 1636, anno della morte prematura, lo attendono commissioni importanti, ufficiali. Giovanni si avvicina agli ambienti della corte. Dopo il 1634 opera al servizio del cardinale Giovan Carlo de’ Medici. Negli stessi anni procede alla decorazione del palazzo di Alessandro Pucci sul canto di via dei Servi.
Incompiuta
L’ultima opera cui Giovanni attende, lasciandola interrotta alla morte, è la decorazione del salone al pianterreno di Palazzo Pitti. Gli affreschi dovevano celebrare il matrimonio di Ferdinando II e Vittoria della Rovere nel quadro più ampio della glorificazione di Firenze. Alla morte del Mannozzi nel 1636 il ciclo era ancora incompiuto e gli affreschi fino a quel momento realizzati rischiarono la distruzione. Salvati per intercessione dell’Empoli, furono poi ultimati, fra gli altri, da Francesco Furini.